PRESENTAZIONE / SLOGAN

RIDIAMO VITA AGLI SPAZI DELLA CULTURA



Nello spirito della legge regionale n° 69 del dicembre 2007 dal titolo:

“Norme sulla promozione della partecipazione alla elaborazione delle politiche regionali e locali”, è iniziato un percorso partecipativo, aperto a tutti, sul riutilizzo del Teatro De Filippo.



Il Teatro De Filippo ha bisogno di un progetto di recupero, ha bisogno di vivere una nuova stagione: una vera battaglia di civiltà !



Partecipa anche tu con idee, progetti, video testimonianze e iniziative a sostegno del nuovo percorso
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lunedì 8 agosto 2011

Art. 9 Costituzione Italiana
 
“La Repubblica promuove lo sviluppo della cultura e la ricerca scientifica e tecnica.
Tutela il paesaggio e il patrimonio storico e artistico della Nazione.”
 
 
L’Europa ritiene la Cultura Bene Comune, una risorsa non solo da proteggere ma quindi da sviluppare; nello scrivere l’art.9 i nostri Padri Costituenti  erano stati, come sempre, lungimiranti.
In occasione della “Prima” del Teatro La Scala di quest’anno l’illustre direttore d’orchestra Daniel Baremboim, rivolgendosi al governo nazionale, nel chiedere il rispetto dell’articolo 9 ha ricordato come pure l’art 4. della Carta Costituente sia “conditio sine qua non” per lo sviluppo culturale per il nostro Stato.
 
“ La Repubblica riconosce a tutti i cittadini il diritto al lavoro e promuove le condizioni che rendano effettivo questo diritto. Ogni cittadino ha il dovere di svolgere, secondo le proprie possibilità e la propria scelta, un'attività o una funzione che concorra al progresso materiale o spirituale della società.”
 
La classe politica del nostro paese, a tutti i livelli (dal governo di centro destra fino alle amministrazioni locali di centro sinistra) ha una “qual certa” difficoltà ad applicare i dettami costituzionali tutelando il diritto al lavoro di coloro che operano per il “progresso spirituale della società”.
 
E’ difficile trovare motivazioni culturali (o anti-culturali) e politiche che spieghino come una nazione che dispone di un patrimonio di beni e risorse culturali senza pari al mondo, investa assai meno degli altri paesi europei!
Questi, ritenendo la Cultura elemento anticiclico rispetto alla crisi e quindi una spinta per l’economia, destinano ad essa l’1% circa dei loro PIL, mentre il nostro paese si limita ad investire per essa lo 0,19% del bilancio dello Stato (dati CGIL, CISL e UIL).
 
L’opinione pubblica ha difficoltà a ritenere un attore o un musicista come “lavoratore”,  preferendo il termine di “artista”; manca quasi del tutto in Italia la consapevolezza delle qualità “artigianali” del lavoro artistico.
Dietro alla realizzazione di uno spettacolo c’è una preparazione a monte che richiede professionalità e competenze specifiche in cui spesso il lavoratore corrisponde al prodotto stesso del suo lavoro.
 
Tutte le sigle sindacali che tutelano il settore produzione culturale e spettacolo hanno più volte denunciato questa situazione e ribadito che, a fronte di una grande domanda di eventi culturali e di spettacoli, c’è una grande disattenzione alla filiera Produzione Culturale/Beni Culturali/Turismo Culturale/Eventi legati ai Luoghi. 
Disattenzione e “ignoranza” che hanno portato quest’anno ad un taglio del Fondo Unico per lo Spettacolo pari al 36,6% : tutto questo ovviamente è stato accompagnato (come è avvenuto per l’Istruzione) dall’annuncio di una “riforma strutturale del settore” che di fatto non c’è mai stata.
I tagli alle Amministrazioni Locali, in questo contesto, non fanno altro che aggravare la situazione e mettere in seria difficoltà anche imprese sane, con il rischio di disperdere professionalità sia artistiche che tecniche.
 
A coronare e supportare la “linea politica” del governo nazionale c’è l’ormai celeberrima esclamazione del Super-Ministro Tremorti secondo il quale “con la Cultura non si mangia!”
 
Questa affermazione totalmente falsa è gravissima per diversi motivi.
 
1) Con la Cultura in Italia ci sono molte persone che ci mangiano da una vita … anzi da più generazioni;
 
2) La frase di Tremorti sottende una logica aberrante: “Siccome la cultura non produce ricchezza (abbiamo già visto che è falso), allora tanto vale, in momenti di crisi, tagliarla ancora di più, dando il colpo di grazia ad un settore che il ministro ritiene uno “spreco per l’economia dello Stato”.
 
3) Purtroppo il settore culturale non è immune da quello che avviene negli altri settori finanziati con risorse pubbliche e non solo: c’è una CASTA (dirigenti, sovrintendenti e nomine politiche di vario genere) che non solo mangia, ma spesso si “abbuffa”, da tempo immemore, le risorse disponibili e ai molti lavoratori (masse artistiche e tecniche) restano solo le briciole, rischiando oltretutto ad essere i primi a cadere sotto la scure dei tagli tremortiani.
 
Spesso coloro che generano gli “sprechi” sono proprio i nominati dai partiti che, in questo modo, si rendono doppiamente colpevole del degrado culturale del paese.
 
In Italia è possibile che gli uffici dei teatri e degli enti culturali funzionino da “uffici di collocamento” per parenti e amici dei politici di turno, i quali sovente lasciano buchi di bilancio ad altri amministratori, senza mai essere controllati dagli enti che finanziano queste strutture: irresponsabili e impuniti.
 
Questo malcostume è aggravato anche dalla noncuranza di cui parlavamo prima: oltre ai danni economici che questi debiti provocano alla comunità, non si pensa ai danni che ricadono direttamente sui (veri) lavoratori del settore: quelli che hanno studiato molti anni per raggiungere delle specifiche competenze e che hanno affrontato molte selezioni e concorsi per raggiungere una posizione lavorativa. Quelli stessi lavoratori che spesso, come abbiamo visto, non sono neanche considerati tali.
 
C’è anche un’altra questione fondamentale che tocca direttamente il nostro territorio: come denunciano le sigle sindacali competenti, il settore cultura e spettacolo (per i motivi suddetti) è strutturalmente fatto al 90% di occupazione occasionale e intermittente e un altro tema drammatico è quello della dispersione professionale.
Non c’è niente di più vero ma c’è anche dell’altro: l’immenso sottobosco fatto di contratti atipici è terreno fertile perché si sviluppi anche il lavoro nero e l’illegalità in genere.
 
Ci sono realtà culturali che, in mezzo a mille difficoltà, fanno di tutto per resistere e per garantire ai lavoratori i loro sacrosanti diritti e l’adeguata contribuzione Enpals, mentre altre non lo fanno e, così concorrenti sleali ovviamente hanno spesso la meglio sulle prime.
 
Spesso ciò avviene alla luce del sole e a causa della noncuranza (o connivenza?) della politica.
 
Questo avviene anche nella “rossa” Toscana.